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Il vento gentile nelle pennellate di Gary Bunt

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Qualche tempo fa ho trovato questa immagine nella grafica di un sito web.

"The Harbour Wall"

Non sapevo nulla della sua provenienza e non sapevo chi fosse l'autore, ma avevo una certezza, una certezza che non avevo provato nemmeno guardando delle fotografie: quell'immagine raffigurava il Sud della Gran Bretagna.
Non avevo bisogno di nessuna didascalia, lo sapevo e basta.
Oggi ho cercato di acquistarne la stampa (scoprendo che non è facilissimo) e ho scoperto che l'autore è Gary Bunt, che amo praticamente tutti i suoi quadri naif che si avvicinano molto all'illustrazione, come questi:











E ho scoperto che dipingere l'ha sostenuto fortemente durante la chemioterapia; attualmente cura dei corsi di arteterapia per pazienti oncologici.
Mi ha colpito molto ascoltare una sua intervista, durante la quale afferma che il cancro ha cambiato il suo approccio stilistico al disegno e alla pittura: se prima si preoccupava di dipingere immagini per le persone cercando di incontrare cioè le loro richieste ed aspettative, ora il suo stile si forma solo sulle sue preferenze e su ciò che vuole trasmettere, qualunque emozione sia. Proprio quando ha deciso questo è riuscito a vivere della sua Arte, contro molte previsioni.


Come alcuni di voi sapranno seguendo il blog, sono appassionata da quasi vent'anni (cioè da quando ero poco più che una bambina) di Cornovaglia e del Sud della Gran Bretagna in generale.
Le emozioni che mi trasmettono questi quadri sono ineguagliabili: non c'è parete tappezzata delle fotografie dei miei viaggi nel Regno Unito in grado di riflettere lo stesso senso di vicinanza che mi danno i quadri di Bunt.



E' come se riuscisse ad essere più vero di una fotografia scattata su una scogliera, al porto, in aperta campagna, sulla passeggiata e sul lungomare. Il tutto rimanendo naif, semplificando, stilizzando, sottintendendo... 

Credo che, crescendo nel Kent, Gary Bunt abbia assorbito i colori di quelle colline, i cieli nuvolosi, le foschie del mattino, ma soprattutto il colore della luce che illumina i prati e le brughiere, l'Atlantico e le spiagge sassose, le pietre delle case, le staccionate di legno scuro in campagna e l'ardesia dei tetti. Per me è magia come riesce a mettere il vento nei suoi quadri, lo sento come se fossi lì, come a settembre. Cerco di carpire ogni dettaglio dei suoi olii, come se potessi entrarci dentro.










Mi fa sorridere quando vedo sulle sue tele gli anziani britannici dipinti, coi capelli color argento o candidi, ma anche gli Scottish Terrier bianchi o neri, le barche colorate del porto, le finestre a ghigliottina, la pioggia sulle strade.

Nessuno come lui rende i mattoni degli edifici, siano essi quelli di città o quelli di campagna, oppure quelli dei muretti e degli orti.
Guardo i suoi quadri e sono di nuovo lì, cosa che non riesco a fare nemmeno guardando le più di 200 foto scattate durante la mia settimana a Penzance lo scorso settembre.



Il disegno e la pittura sono davvero magia, non riesco a dar loro un altro nome. I colori parlano all'anima, soprattutto quando si tratta di paesaggi, di scorci, di dipingere la quotidianità di un porto visto dalla finestra o di una passeggiata col cane sulla spiaggia ciottolosa.
Cerco di capire qual è il segreto del saper trasmettere un intero territorio tramite un solo quadro (inizialmente io vidi solo quella tela del porto) ma forse davvero, mi piace credere che sia semplicemente un po' magia.

Heartists - Donare è un'Arte

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"Cuore di Cane" - Davide Bonazzi 


15 illustratori hanno partecipato all'iniziativa Heartists, in collaborazione con l'associazione Nati per Amarti Onlus. Fra alcuni nomi, Roger Olmos, Paolo Domeniconi, Violeta Lopiz e Riccardo Guasco.
Ho partecipato anche io:


La mia stampa, acquistabile qui 



Ciascuno di noi ha donato una propria tavola. La vendita delle stampe andrà interamente all'associazione, a sostegno di chi si occupa dei tantissimi gatti e cani che hanno subito abbandono e tutte le situazioni conseguenti a questo terribile fenomeno.


La stampa di Paolo Domeniconi acquistabile qui


Ho collaborato con due gattili nel corso di questi cinque anni da illustratrice e so bene qual è la realtà: gli abbandoni restano tantissimi, troppi ogni anno e i volontari fanno spesso fatica, perfino a loro spese a volte, a curare e nutrire gli animali e cercare per loro una casa.
Sono molto sensibile alla causa e quando sono stata contattata per aderire non ho esitato.


Stampa di Gianfranco Bonadies, acquistabile qui



Per chi è appassionato di disegno, è una bella occasione di portare a casa delle stampe di alta qualità e di aiutare Nati Per Amarti Onlus. Può essere anche un bel regalo di Natale!

Se non volete o potete acquistare le stampe, anche condividere questo post o la pagina Facebookè un bel gesto, un gesto utile e di speranza.

Grazie!

Morena

Story&Character Masterclass con Pixar a Roma

Il bassotto va in vacanza

12 Cose che ho imparato nel 2014, sul disegno e altro ancora

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Ispirata da questo post di Lisa Congdon ho deciso di fermarmi a pensare e farne poi uno tutto mio.
Non credo tanto nei buoni propositi, credo anzi che ogni anno sia più utile fermarsi a pensare in cosa si è cresciuti nei dodici mesi passati. Nel bene e nel male le cose cambiano sotto al nostro naso e ci fanno maturare; a volte duramente ed altre più dolcemente.

Ecco dodici cose che ho imparato nel 2014 come persona e come illustratrice. In rigoroso ordine sparso! Praticamente una al mese... non male!




Il calendario di RDD



1) Il blocco a volte è una parentesi necessaria.
E' uno spazio vuoto in cui anche se non ci accorgiamo, maturano le idee. Bisogna solo rispettarlo senza pretendere di essere invincibili: capita davvero a tutti.
E' duro da affrontare ma in quella durezza nascono nuove soluzioni, la crisi creativa è di solito dovuta a qualcosa che mi rende insoddisfatta. Quando ho capito cosa mi rendeva scontenta ho potuto andare avanti, a piccoli passi, ricominciando. Lo sto ancora facendo.

2) Nel disegno ci vuole sincerità.
Le nostre mani sono il filtro che separa la realtà dai nostri fogli.
Un conto è la fatica nell'apprendere qualcosa di nuovo, un altro è voler essere qualcosa che non si è. Qualche mese fa sono stata ricevuta nella redazione di un magazine di moda.
Non solo non sono stata presa, ma mi è stato consigliato di contattare una redazione più adatta a me. Mi è stato detto letteralmente "Porta il tuo portfolio ad una rivista che compri o a cui ti abboneresti."
L'ho fatto ed oltre ad ottenere un nuovo cliente, poi mi sono davvero abbonata alla rivista. Perché? Per il semplice fatto che mi piace e che evidentemente gli argomenti che tratta sono più vicini al mio modo di sentire e quindi di esprimermi e disegnare!
Nel corso di quest'anno durante i miei workshop mi sono imbattuta spesso in disegnatori che si sforzano di essere presi da qualche editore, disegnando appositamente in un dato modo. Non è questo il meccanismo: bisogna prendere i propri disegni e trovare chi è adatto a pubblicarli. Ho visto portfolio di illustratori per l'infanzia sforzarsi di fare cose macabre e angoscianti e cervellotiche per piacere a tale editore, altri essere grafici perché "il pittorico ormai tira poco". Sono tutte cazzabubbole. La verità è che la sincerità paga sempre. Restate fedeli a voi stessi: non si tratta di disegnare per qualcuno, ma di disegnare e trovare chi è adatto a ciò che facciamo.

3) Non si può fare tutto.
Questo fatico ancora ad accettarlo al cento per cento, ma già avere imparato ad agire di conseguenza ha fatto molto, in questo 2014. Imparare a scegliere fra le cose che mi piacciono è stata dura, è sempre dura. Ma ho iniziato a farlo e sentirmi meno sopraffatta.
A volte semplicemente le cose non partono, non basta il tempo per farle tutte. E sapete cosa? Va bene così. Con questa cosa bisogna farci pace: abbiamo un tempo limitato da vivere, la cosa migliore da fare è usarlo bene (e quindi scegliere in cosa investirlo!).

4) Le storie nel cassetto vanno tirate fuori. Nessuno viene a chiedere di leggerle.
Il 2014 è stato l'anno in cui ho preso il coraggio a due mani e ho inviato qualche storia e un manoscritto. Su tre, due sono piaciuti e uno verrà pubblicato quest'anno.
Per me scrivere è qualcosa di più intimo. Non mi faccio problemi a spedire quintali di email allegando i miei disegni, ma sapeste che paura mi prende quando si tratta di inviare una storia.
Comunque, la paura dell'invio era l'unica cosa che mi separava dal mio primo libro da autrice.
Pensateci sopra, se state facendo lo stesso con i vostri manoscritti. Aprite quel cassetto.

5) Ho imparato che alcune cose non mi piacciono più.
E' un buon segno: i gusti cambiano perché cambiamo noi. Del resto, mica ascoltiamo la stessa musica che ascoltavamo a sedici anni, giusto?
Ci sono argomenti e soluzioni grafiche e decorative che proprio non mi dicono nulla tre anni dopo. Anche alcuni autori che osannavo e prendevo come esempio di bravura, mi sembrano anonimi, come se le loro immagini non parlassero più ai miei occhi. Frilli e pizzetti mi nauseano, e disegno usando delle palette colore limitatissime. Mi accorgo di essere sempre più esigente in ciò che mi piace, compresi naturalmente i miei disegni. Fa parte della crescita; è un processo graduale fino ad un certo punto, quando accade il distacco più netto e quella cosa che ti piaceva un po' meno, la sopporti a stento oppure non la sopporti proprio più. Buonissimo segno! Un disegnatore deve essere un ruscello, sempre fresco. Mai uno stagno.

6) Ho imparato a delegare.
Nel gennaio del 2014, Roba da Disegnatori è diventato Associazione Culturale, fondata con Alessandra ed Edoardo. E' una vera avventura.
La prima cosa che ho imparato, con grandissima fatica, è delegare. Ho imparato a fidarmi, che non tutto può essere sotto il mio strettissimo controllo, che qualche volta possono riuscire cose che non avevo pensato, o esserne ideate di migliori o migliorate, da altre persone. Per natura sono molto individualista; a scuola non ero proprio portata per i lavori di gruppo. Mi sarei sobbarcata tutto per mia stessa volontà affinché tutto riuscisse esattamente come avevo ponderato.
Ma non può essere ogni volta così: anche lavorare in gruppo è importante e così superare i conflitti dovuti al fatto che non pensiamo tutti con la stessa testa.
Imparare a delegare, per me significa poter avere più tempo per altre cose e prima non ci riuscivo mai! 
Ma significa anche qualcosa di più grande e più importante: vuol dire poter essere soddisfatti insieme a qualcun altro, incoraggiarsi quando le cose non vanno come ci si aspettava, avere delle risorse comuni. E dite poco?

7) Ho imparato che la selettività paga. E tanto.
Bisogna essere a volte un po' spietati. Non si può dire di sì a tutti, e con alcune persone proprio non mi trovo.  A volte si è diversi in modo complementare, altre in modo incompatibile.
Con alcuni non nascono simpatia e comunicazione immediata. Quest'anno ho imparato a riconoscere con una scrollata di spalle che tutto sommato non importa.
Sia io che l'associazione abbiamo chiuso in maniera lampo delle situazioni scomode per poi trovarne altre molto più soddisfacenti e stimolanti!
Ho imparato a favorire le simpatie istantanee, a rifuggire dalle antipatie altrettanto istantanee: entrambe hanno sempre dei motivi molto fondati, anche se al momento non capisco il perché.
Non è mio dovere andare d'accordo con tutti, nemmeno se questo significa non avere la loro approvazione. Tutto sommato non ne ho nessun bisogno.

8) Io faccio a modo mio.
Se l'anno scorso ho imparato molto, molto concretamente che non si può piacere a tutti, quest'anno ho imparato a ridimensionare i confronti. Non importa come gli altri fanno le cose. Io le faccio a modo mio.
Confrontarsi troppo può non essere uno sprono, ma guidarci direttamente a lasciar perdere gli obbiettivi. A volte è davvero bene guardare il proprio pratino e chiedere cosa ci si può piantare, senza guardare quello del vicino pensando che il suo sarà più verde o fiorito.

9) Ho imparato che esistono givers e takers: donatori e accettanti.
Per essere qualcuno in grado di dare, ed è una cosa che mi è sempre interessata sopra molto altro, è davvero vitale imparare a prendersi i propri spazi. Ci sono cose che non mi va di dire, non mi va di prestare, di confidare, di regalare. Il 2014 mi ha insegnato a non sentirmi in colpa per questo. Per me essere una buona giver significa riconoscere chi è meritevole di ricevere.
Tutti noi troviamo nella vita persone che non danno nulla ma chiedono tutto: impariamo a dire di no se non vogliamo rimanere senza più nulla da offrire.
E che se un giorno non vogliamo parlare o fare qualcosa per qualcuno, il nostro rifiuto ha tanta dignità quanto la richiesta che ci è stata fatta.

10) La gratitudine.
Se penso a questo 2014 appena passato mi rendo conto che probabilmente il sentimento più forte che ho provato è la gratitudine.
La gratitudine è davvero qualcosa di grandioso: ti entra negli occhi, abbagliandoli e scende giù nella pancia e te la riempie tutta. Non dipende da te, perciò è un sentimento umile e nobile, ti dà fiducia e ti fa sentire amato.
Non che prima fossi un'ingrata, ma questi dodici mesi passati mi hanno insegnato che davvero, a volte ti viene dato qualcosa senza nessun secondo fine e tutto quello che devi fare è accettarlo e dire grazie. Grazie per una scatola di cioccolatini, grazie perché quando tutto mi sembra perso un'amica sta con me due ore al telefono e mi convince a non mollare, grazie per un corso gratuito, grazie perché ho un compagno di viaggio strepitoso, grazie perché arrivo per un workshop e scopro che mi hanno preparato delle focaccine tipiche, grazie perché una persona appena conosciuta all'estero mi ha portata in un posto che volevo visitare quando non avevo i soldi per farlo, grazie perché una persona mi ha ceduto la sua casa per fare le vacanze, il suo giardino profumato dagli alberi di limone.
Non è il regalo, è la sensazione che resta dentro.


11) Fidarmi dell'imperfezione del disegno 
e del margine di imprevedibilità del disegno tradizionale.
Nell'imperfezione c'è vita. Quest'anno ho ripreso a tenere davvero uno sketchbook. Ci disegno con le matite, coi pennarelli, con la fusaggine, con la grafite, coi pastelli. Quando una linea non è perfetta e non mi regala compiacimento cerco di vederla nella sua vitalità. Forse quella rotondità non è pefetta ma l'idea si è impressa sul foglio.
Mi era mancato tanto il rapporto fisico con i miei disegni.
Non credo farò mai degli schizzi digitali, ora meno che mai.


12) Ho imparato a scommettere su me stessa.
Quest'anno per la prima volta ho lavorato in studio fuori casa, ho stampato delle cartoline promozionali, sono diventata a tutti gli effetti una piccola imprenditrice autonoma. E' un'ansia pazzesca, non lo negherò mai, ma sentivo di dover uscire dalla mia zona di comfort.
E se andrà male saprò di averci provato!


Buon 2015!

Sulla gavetta: cos'è, cosa non è, come e quando

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Ho un tunnel carpale che minaccia di lasciarmi in ritardo sulla consegna, ma questo post mi marcava da un po' e, quando mi hanno fatto vedere l'ennesimo annuncio di "lavoro" non retribuito su realtà dinamiche (ti pareva) e cariche di entusiasmo (vorrei ben vedere visto che non pagano) non ho resistito.
Quando parlo di questo genere di recruitment, e non dico recruitment per fare l'anglofila ma perché assunzione è un termine fuori luogo in questi casi, salta puntualmente fuori qualcuno che chiede: "Evabbè ma da qualche parte bisogna pure iniziare, e allora come faccio a fare gavetta?"

Ed è giustissimo, chi non la fa? Ne sto facendo ancora un mare io dopo 5 anni di attività e c'è gente che si porta avanti lavori di qualità "gavetta" anche dopo che è affermata, se si afferma, perché "sossoldi".



Roman Muradov




Però vanno chiarite alcune cose sulla gavetta. Eccone 3:

1- La gavetta si paga.
Lavorare gratis non è gavetta, è volontariato. E per chi non lo sa, non occorre fare volontariato per infoltire un portfolio lavori.
Ho delle bellissime notizie qui!
Volete fare libri illustrati e vi serve una cartella rimpinguata di fiabe e favole? Aprite un tomo di Andersen o di Esopo, scegliete una storia e sviluppate il vostro progetto libro.
Sognate di illustrare un articolo del New Yorker o del Sole 24 ore o di un magazine di salute e bellezza? Comprateli, analizzateli e provate ad illustrare degli articoli a modo vostro.
Vi state chiedendo come starebbe un vostro pattern su stoffa? Andate su Spoonflower e autoproducetevelo. Avrete sempre dei campioni che vi servono per orientarvi, e una cartella lavori bella cicciotta.
Insomma, non avete bisogno di un committente per ricerca personale, per sperimentare, per imparare. Tant'è che in un portfolio potete ben scriverci la voce"Ricerca personale" come didascalia o come categoria nel vostro sito.
E qualcuno dirà "Ma così nessuno mi ha pagato!" Certo, ma non avrete nemmeno regalato il vostro lavoro.
La gavetta paga poco, ma paga. Altrimenti non è neppure gavetta. Prima leggenda metropolitana smentita.

2-  Prestare lavori già fatti a titolo gratuito non è gavetta. 
Giusto per essere più che precisi sul punto 1. Non riuscirò mai a capire tutta questa smania di regalare le proprie immagini non ad un ente benefico, ma ad attività che lucrano sul lavoro regalato. Ovvero: vendono il tale supporto col lavoro regalato e ci guadagnano, alla faccia sua. Se poi qualcuno vuole regalare il proprio lavoro lo faccia, ma non la chiami gavetta, alimentando il malinteso.

3- Ma allora cos'è la gavetta?
E' un lavoro "sporco", è la marchetta. Qualche esempio di marchetta/gavetta:


  • Il lavoro è carino ma pagano poco. Però pagano. Che è il fattore discriminante fra gavetta e presa in giro.
  • Chiedono di disegnare nel tuo vecchio stile.
    Lo sto facendo: è una rottura, non lo negherò mai. Ma mi paga il prossimo mese di vita, con che coraggio dicevo di no? Magari fra cinquant'anni se sarò ricca e inseguita da mezzo mondo per una pubblicazione potrò rifiutare.
Può capitare di dovere disegnare in uno stile che non ci piace o non fa parte del nostro bagaglio. A discrezione si può rifiutare o accettare (come tutto!). E' quel genere di lavoro che è bene evitare di mettere nel proprio portfolio e che la maggior parte dei disegnatori di professione si guarda bene dallo sventolare ai quattro venti.
Faccio una marea di questi lavori. E non me ne vergogno, perché mi pagano per farli.
E non solo, ma ho scoperto che persino dei colossi di fumetto e illustrazione accettano questo tipo di lavori in tempi di vacche magre. Certo appunto, non si sognano nemmeno di farli vedere in giro. E così tutti pensano che si occupino solo di grandi pubblicazioni con editori strafighi. nota: Diffidate se uno si occupa davvero solo di cose strafighe: o è un colosso mondiale del disegno o qualcuno lo mantiene oppure, come si usava nell'Ottocento, un parente da Madera gli ha intestato un vitalizio.

  • Il lavoro è carino, non pagano in modo infimo, però non è possibile avere il proprio nome sul prodotto o sulla pubblicazione.
    In questo mondo di esibizionisti, ad un disegnatore capita di mettere da parte il suo ego in favore delle bollette e della spesa settimanale. Di fare il colorista ghost, di fare un albo di sticker per cui l'editore se ne frega di citare gli autori, per contratto.


Questi sono esempi di gavetta.
Una realtà frizzante entusiasta e giovane e dinamica che non paga i disegnatori dovrebbe riservare il proprio entusiasmo per prevedere un budget per i propri progetti. Meno dinamicità e più soldini, ragazzi. Avere un'attività commerciale ha i suoi costi. Io pago le tasse e il Mac per lavorare mica me l'hanno regalato.
Lo dico sempre anche ai nostri corsisti: se non ho i soldi per un viaggio, non ci vado. Se non ho i soldi per affittare uno studio, nessuno me lo regala. Non vedo quindi perché io dovrei regalare il mio lavoro.
O perchè dovreste farlo voi.

La dignità delle cose che amiamo siamo noi a costruirla, non ci piove dal cielo. Non aspettiamoci che non ci calpestino se siamo noi a sdraiarci in una strada fin troppo trafficata.

Perdersi nel bianco: cinque fotografie d'eccezione

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Ultimamente sono molto attratta dalla sintesi; da come un contenuto minimale possa avere un potenziale comunicativo altissimo.
Forse per questo, in un album di fotografia (professionale e amatoriale) che ho visto condiviso su Facebook, ho salvato istintivamente questi scatti, scartando quelli con più elementi ed elaborazioni al loro interno.
Una volta visti sul mio desktop, a colpo d'occhio mi sono resa conto che erano accomunati da una scelta coerente.
Così ho deciso di condividerli sul blog. Non sono bellissimi?
Ne conoscete di simili?


Franz Bogner

Giorgio Dalvit

Oleg Tirkyn

Paul Shmuck

Tom Meier

Heartists - Donare è un'Arte: 15 illustratori in mostra a Bari

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Lo scorso dicembre mi sono unita al bellissimo progetto "Heartists" ideato e promosso dalla Onlus "Nati per Amarti" cedendo una mia tavola illustrata per una stampa in vendita in beneficenza.
Oggi il progetto prosegue in un'interessante direzione. Ecco il comunicato stampa che annuncia "Heartists: Solidarietà in mostra":


"Spaghetti romance" di Violeta Lopiz, una delle 15 opere in vendita per Heartists


Nella cornice del foyer del teatro Abeliano di Bari, si svolgerà a partire dal prossimo 14 marzo l’esposizione di opere di giovani e affermati illustratori provenienti da diversi paesi europei.
Cuore dell’esposizione saranno quindici opere illustrative, le cui riproduzioni saranno acquistabili con una donazione di 15 euro durante gli appuntamenti della stagione teatrale dell’Abeliano. Il progetto HEARTISTS ideato da “Nati per Amarti”, onlus barese che dal 2009 soccorre e accudisce tanti cani e gatti abbandonati, cerca, attraverso l’arte, di diffondere un messaggio di speranza, bellezza e positività.
Tra gli artisti che hanno offerto le loro opere per HEARTISTS ci sono nomi importanti dell’illustrazione europea provenienti da Italia, Spagna, Inghilterra. 


Il vernissage si terrà il prossimo 14 marzo alle 19 al teatro Abeliano di Bari.
Qui ci sono tutte le informazioni sull'evento, che diventa un'occasione per ammirare e acquistare delle belle illustrazioni, ma anche per aiutare cani e gatti che si trovano in difficoltà. 



Davide Calì intervista Gerda Märtens

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Davide Calì mi invia questa intervista che ha fatto a Gerda Märtens. Dopo averla letta con molta curiosità, ho deciso di condividerla con voi.
Buona lettura!


Intervista a Gerda Märtens

Ho conosciuto Gerda un paio di anni fa a Macerata dove si era iscritta a un mio corso.
Da allora siamo rimasti in contatto e ci siamo scritti spesso. Due anni fa mi ha invitato a Tallin, in Estonia, per tenere un corso all’Accademia di Belle Arti.
Ne parloqui..
Nel frattempo Gerda è riuscita a pubblicare il suo primo libro in Estonia e a breve ne uscirà un altro, in Italia.

Ciao Gerda, raccontaci un po’ la tua storia. Quando ci siamo conosciuti se non sbaglio eri iscritta al Master di Ars in Fabula, giusto?

No, non ero iscritta al Master, facevo un Erasmus, solo che ero molto concentrata sull'illustrazione. Ho passato a Macerata quasi tre anni e ho imparato tanto da questa esperienza. E' stato un periodo in cui sono cresciuta tantissimo come persona e come artista.

Da dove viene la tua passione per l’illustrazione? Ti interessava già da piccola?

Sì, la mia passione risale alla mia infanzia. Poi nel 2008 e il 2009 ho fatto il direttore artistico per un cortometraggio animato, In the Air di Martinus Klemet, nello studio Joonisfilm in Estonia. Grazie a questo lavoro ho notato che i cartoni strutturamente e narrativamente sono comunque molto vicini all'illustrazione, mi è venuto naturale quindi cimentarmi con quest'ultima. In seguito, studiando contemporaneamente la musica classica, ho capito che l'illustrazione era il mondo nel quale volevo vivere e lavorare perché mi veniva molto naturale.

Quando eri piccola avevi libri illustrati? Ce n’è qualcuno che ti ricordi in modo particolare, cui sei rimasta affezionata?

Ma sì, certo! Mi piacevano tanti libri diversi, non solo quelli per bambini! Leggevo tantissimo ed ispirata da essipoi mi sono messa a scrivere e a disegnare anch'io. Mi ricordo molto bene le emozioni che provavo da piccola e i libri mi creavano una sensazione che spesso riconosco anche adesso.
Sono felice di avere questa sensibilità che mi regala momenti bellissimi in tutto ciò che faccio. Imiei libri preferiti assoluti da bambina erano sicuramente Kristiina, see keskmine (Kristiina la media) di Leelo Tungal con le straordinarie illustrazioni di Kersti Haarde, Dondijutud (un gioco di parole su Racconti di Fantasma) di Henno Käo con le sue illustrazioni e ilibri tascabili delle favole horror dalla Siberia. Quindi, tutto sommato, un po' di vita quotidiana di una famiglia che faceva tanto ridere, un po' di fantasia buffa sull'aldilà e un po' di folklore spaventoso.




Per il Master avevi avuto una borsa di studio italiana, poi se ricordo bene ne hai avuta un’altra, però dall’Estonia, per continuare i tuoi studi a Macerata? E ora starai invece a Trieste per un po’: un’altra borsa di studio?

Per gli anni dell’Erasmus si, avevo sempre una borsa di studio che veniva dall'Unione Europea. Quando sono tornata a Macerata per lavorare sulla mia tesi per laurearmi presso l'Accademia di Belle arti Estone, ho vinto una borsa di studio dal Ministero degli Esteri della Repubblica Italiana. A Trieste, invece, sto facendo uno stage di due mesi per il Centro della Salute del Bambino (che coordina anche il programma conosciutissimo Nati per Leggere) ed ho una borsa di studio creata da poco per i neolaureati, si chiama Erasmus Plus+.
A Trieste, al momento faccio la grafica per il Centro e sono venuta appunto per allargare le mie conoscenze nel settore e capire un po’ di più sul pubblico della mia arte.


E l’italiano? Come lo hai imparato?

Studiando il canto lirico e seguendo il blog di Anna Castagnoli, che parla di illustrazione!






Raccontaci il tuo primo libro. Come è andata?

Dopo aver studiato a Macerata mi sono successi alcuni miracoli. Tra una borsa di studio e l'altra avevo continuato ad essere molto attiva anche in Estonia. Non lavoravo soltanto sui miei disegni ma facevo anche l’insegnante e alla fine del 2013 ho organizzato anche una mostra di illustrazione come omaggio a Charles Perrault. Il mio lavoro è stato visto dai diversi illustratori e professionisti estoni e così mi è stato proposto il progetto del mio primo libro dalla casa editrice Päike ja pilv.
Il libro che è uscito a dicembre 2014 si chiama Õnnelike õhtulugude sahtel (Il cassetto delle storie notturne felici) dalla scrittrice Hilli Rand. Contiene 8 storie sulla vita quotidiana dei bambini, ma la parte interessante è che quella vita viene osservata nell'ottica dell'immaginazione dei bambini. Quindi si incontrano le situazioni e i personaggi che normalmente solo i bambini possono percepire con la loro fantasia.

E quello di Buzzati invece? Se non sbaglio a breve esce con Orecchio Acerbo? Come è nato il progetto?

Si, infatti ancora prima di ricevere la proposta per il progetto estone, avevamo discusso con Orecchio Acerbo l'uscita del mio progetto La creazione, un albo illustrato del racconto di Dino Buzzati. Era fin dal secondo anno a Macerata che l'avevo preparato e ci credevo.
Il progetto è nato nel momento in cui volevo cimentarmi con un progetto concreto, quindi mi sono guardata intorno e l'ho trovato, quel racconto che mi ha colpita e commossa.
Ho riconosciuto qualcosa di molto universale che andava al di là di quell'interpretazione della creazione del mondo. E' un po' diverso dal resto delle opere di Buzzati ed è geniale. L'idea di pubblicarlo con Orecchio Acerbo è venuta molto dopo la prima realizzazione del progetto. Mi hanno trovata attraverso una mostra degli artisti delle Marche in galleria Tricromia a Roma, e così ho avuto l'opportunità di fare una nuova versione di questo mio lavoro per la casa editrice, della quale ammiro molto i libri.
E quindi La creazione sta prendendo una forma definitiva.
Uscirà per la fiera del libro di Bologna di quest'anno.








E ora, quali sono i tuoi nuovi progetti?

Ne ho tanti. Quest'anno partecipo anche ad un paio di mostre internazionali che girano l'Europa e l'Italia. E certamente continuo ad illustrare, ad esempio in estate lavorerò su un libro che ha scritto una mia amica Farištamo Susi e verrà pubblicato in Estonia sempre quest'anno. Collaboro con le mie illustrazioni per la rivista estone per ragazzi: Täheke, e poi ci sono altre idee che ancora non hanno preso una forma definitiva.

Raccontaci qualcosa del tuo lavoro in Estonia: è possibile riuscire a vivere di illustrazione nel tuo Paese?

Quasi tutti dicono di no. Anche gli illustratori affermati, conosciuti e bravissimi sostengono che fare solo l’illustratore non è affatto possibile e consigliano di non sperare per poi non rimanere delusi. Tutti hanno almeno un altro lavoro, più spesso fanno la grafica o lavorano in qualche agenzia pubblicitaria. Quelli che fanno almeno quattro libri all'anno invece riescono a viverne, però devono regolare il lavoro molto rigidamente in tempi molto ristretti. Io penso che vivendo cosi perderei l’essenza artistica. Anche se anch'io in meno di sei mesi ho illustrato due libri, quel ritmo di lavoro è stato abbastanza pesante: per esempio la tecnica, matita e acquerello, come la uso io, è lentissima. Il problema è che ci sarebbe bisogno di tempo per consumare la cultura, come si dice, non solo di produrla. Cioè, per un artista è essenziale essere interamente a contatto con più cultura possibile, ma bisogna adempiere anche alla vita di tutti i giorni. Prima si è una persona, poi si fa il mestiere d'artista. Però se sei costretto a pensare ogni giorno solo a come pagare l'affitto...
Immagino che non ci siano risposte. Ognuno fa i propri compromessi.




C’è qualche differenza tra lavorare in Estonia e in Italia, nell’illustrazione?

Per me ci sono grandi differenze. In Italia l'illustrazione è considerata arte e non solo tra le persone del settore ma fin da piccoli i libri e i diversi immaginari artistici sono comunque molto apprezzati e rispettati. In Estonia a me sembra che non ci sia una vera comprensione o il consenso generale su cosa sia cultura e cosa no. Ci sono due aree molto promosse: quella della nazionalità e quella dell'innovazione. Mi dispiace di essere così critica ma a me sembra che più spesso il vero senso delle cose rimanga nascosto e tutto giri intorno alla superficialità delle cose. C'è molta poca discussione sui valori veri e propri, qualunque sia il settore. E quindi anche l'illustrazione in Estonia per la maggior parte delle persone non è altro che la decorazione dei libri. L'alfabetizzazione visiva è scarsa. Penso sia uno dei motivi per il quale anche la maggior parte dei libri per bambini contengono tantissimo testo e 8-10 pagine di illustrazioni. L'albo illustrato è ancora molto poco diffuso. E però ci sono dei magnifici illustratori e autori e soprattutto tra la vecchia generazione. Quando lavoro o osservo il panorama del settore italiano o parlo dei libri illustrati in Italia, sento sempre una profondità culturale e non ho bisogno di convincere le persone che è un’arte e un lavoro serio e importante. Spero e credo però che anche in Estonia il mestiere di illustratore piano piano venga più apprezzato e che il pubblico diventi più consapevole della rappresentazione visiva del mondo intorno.
Perché dico tutto questo? Perché definisce molto gli argomenti e le modalità del mio lavoro, la collaborazione con gli editori, l'interesse del pubblico, ecc. Però dal lato positivo devo dire che i bambini in tutti e due paesi sono sempre gli stessi per i quali cercare di fare il meglio per loro è il mio compito primario. A gennaio abbiamo presentato il libro Õnnelike õhtulugude sahtelad una classe di bambini di un asilo ed è stata una delle esperienze più felici da quando ho studiato e lavorato in questo settore.



I libri di Gerda Märtens
Õnnelike õhtulugude sahtel, di Hilli Rand, editore Päike ja pilv, 2014
La creazione, di Dino Buzzati, editore Orecchio Acerbo, 2015




I colori sono tutto e il film colorist lo sa

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Color Reel - The House On Pine Street from GradeKC on Vimeo.


Oggi mi è capitato sott'occhio questo video in cui scopro per la prima volta l'esistenza di una professione chiamata "film colorist".  Chi l'avrebbe mai detto?
Sapevo, naturalmente, che i film così come sono vengono modificati nelle tonalità, solo che non avevo idea di come si chiamasse questa professione e, soprattutto, che ci fosse una posizione professionale dedicata esclusivamente a questo. Quanto vorrei avere il doppio delle ore giornaliere per imparare più cose!

E' affascinante osservare come le atmosfere cambiano al mutare dei contrasti, dei caldi e dei freddi, della luminosità e con esse tutto il significato della scena. Infatti, se si prova a guardare ogni singola scena senza contestualizzarla al film si potrebbero immaginare tantissimi altri contesti narrativi con un mood sempre diverso e quindi, praticamente, storie sempre nuove.
Mi sembra un ottimo spunto per chi vuole studiare la resa emotiva di una scena in un fumetto o in una tavola illustrata; del resto il cinema è sempre una grande ispirazione e costituisce spesso un esempio di scelte che funzionano in campo compositivo (pensiamo solo a Kubrick o a Anderson) a livello cromatico, per i costumi, per le pose.
Sì, vorrei davvero il doppio delle ore per guardare più film e imparare più cose. Per leggere più libri e più fumetti, per sperimentare più cose nuove. Che bello sarebbe!

Il momento magico

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Un momento può essere una manciata di secondi oppure un intero periodo.


Ci pensavo proprio la scorsa settimana, quando mi sono vista anticipare la consegna di dieci giorni da parte di un editore. In meno di sette, ho lavorato a nove tavole definitive doppia pagina.
Con mio grande stupore ho accettato stoicamente la sfida e senza batter ciglio, se non contiamo il tic nervoso che mi è preso aprendo l'email e che è perdurato fino a ieri, consegnando l'ultima tavola, mi sono messa a lavoro. Non senza sfregarmi le mani e prepararmi la ciambella ortopedica che, in seguito all'incidente dello scorso febbraio, mi sta aiutando a non consumarmi il coccige sulla mia sedia Ikea finto-ergonomica.
Nonostante lo stress della richiesta e il pochissimo tempo con cui avrei potuto disegnare mi sono messa a riflettere con una certa concentrazione ad un momento molto ben definito, mentre impilavo uno sull'altro i matitati approvati che avrei dovuto colorare in Photoshop.
Immaginate il silenzio e la concitazione delle 23, unico rumore quello dello scanner che febbrilimente scansiva i matitati uno dopo l'altro.
Nel mentre, mi sono trovata a pensare a lui... al momento magico. Oh si: è un momento molto preciso della vita di un disegnatore. Naturalmente ce ne possono essere diversi. Ma quello di cui vorrei parlare in questo frangente credo sia unico.



Studioa Peru

Negli ultimi due anni, in cui ho tenuto diversi workshop, ho rivisto negli occhi di molti corsisti la stessa fame e la stessa ingordigia che illuminavano i miei cinque anni fa.
Ho trovato indoli combattive, musi lunghi, portfolio incasinati, veri talenti ricoperti da una patina spessissima di insicurezza, al contrario talenti decisamente acerbi supportati da un ego gigantesco...
Insegnare ti apre la mente, lo trovo meraviglioso: ti fa notare le differenze da una persona all'altra, ma soprattutto l'enorme analogia di fondo che le unisce tutte.
La maggior parte delle persone che incontro durante i workshop e dei lettori che mi scrivono durante l'anno, stanno vivendo chi più chi meno, il momento magico.

Esattamente come me cinque anni fa, non lo sanno. Non ne sono consapevoli.
Forse per essere magico, questo momento deve essere un po' misterioso, non saprei. “La bellezza delle cose ama nascondersi” cantava un po' di anni fa Carmen Consoli.  
Un pizzico di riflessione farebbe bene per rivalutare certi struggimenti che ci troviamo ad affrontare durante un momento che per essere magico passa per distruzione, frustrazione, rabbia, sconcerto, senso di inadeguatezza, sensazioni contrastanti.
Io avrei voluto che qualcuno cinque anni fa mi avesse detto con tono un po' rassicurante e con un sonoro scappellotto “Smettila di struggerti. E goditi questo momento magico.”


E allora scrivo questo post perché tutti quelli che mi scrivono e che incontro ai miei corsi lo sappiano e si rendano conto di dove si trovano.
Siete in uno stato di grazia da cui non si torna indietro: passerà, è vitale che passi, ma godetevelo.
Essere uno studente è un momento magico. Essere un principiante in quasi tutto è un momento magico. Essere un perfetto signor nessuno, sconosciuto da tutti è un momento magico.
Essere un hobbista è un momento magico. Non essere ancora un disegnatore professionista è un momento magico.

Prima che pensiate che tredici ore al giorno di lavoro mi abbiano sconclusionata del tutto vi spiego perché.

Cercando podcast e letture, leggendo manuali ed ascoltando interviste, passa uno strano messaggio, che è questo: “il momento magico è quando finalmente pubblichi il tuo primo libro, ricevi la tua prima commissione da un'agenzia di pubblicità, partecipi alla tua prima presentazione ad un salone di fumetto, fai la tua prima dedica, hai una copertina sul New Yorker, hai illustrato l'articolo a tutta pagina del Sole 24Ore.

Volete saperla una cosa? Ho già pubblicato libri, ho già presentato un fumetto ad un salone , ho già firmato dediche stando in stand e ho già lavorato con agenzie pubblicitarie prestigiose nel centro di Milano. Tutto molto bello. E chi lo nega? Altrimenti avrei già cambiato mestiere.


Studioa Peru



Eppure, il momento magico, quello che mi viene in mente mentre arranco alla dodicesima ora davanti a Photoshop per finire la tavola da spedire in nottata è quello che comprende tutto il mio periodo di prima crescita come disegnatrice. Potremmo parlare di infanzia artistica?
Quel periodo in cui non ero carne né pesce, non sapevo cosa avrei fatto dei miei disegni, dove dirigermi. Quello in cui mi piaceva un po' tutto e guardavo con immensa ammirazione (qualcosa che si avvicina all'incontro con una divinità) artisti che ho poi incontrato di persona e visitato nei propri studi ed atelier e ho scoperto essere persone come me, con una macchia di caffèlatte sul maglione (non dirò mai di chi si trattava) e dei capelli senza piega e la barba sfatta da troppo tempo.
Il periodo in cui mi sembrava tutto inarrivabile e non sapevo come fare, perché non ti danno le istruzioni per l'uso per fare questo mestiere e anche quando te le danno sono indicazioni generiche che andranno cucite su di te, sui tuoi disegni, sulla tua personalità e sul tuo personalissimo ed unico potenziale, sulla voce che nessuno ha uguale alla tua. Proprio così: nessuno al mondo.

Quel momento è magico. Si ripropone, quando si cresce all'interno di una carriera artistica o anche solo quando si coltivano aspettative legate al proprio disegno.
Ma non sarà mai più così. Non avrà mai quel sapore di ineluttabile ingenuità.

E di sogno, e di visioni ad occhi chiusi.

Negli anni a venire della vostra vita e forse della vostra carriera, non ci saranno più sperimentazioni così ingenue, così intense nel modo di svilupparsi, così selvagge ed istintive, così pure perché scevre di calcolo.


Imparate a godervi il momento magico: questo è il momento del divenire, della trasformazione, è quel momento in cui potete permettervi tutto e il contrario di tutto. Nessuno ha ancora idea di chi voi siate ed è meraviglioso.
Provate tutto, senza vergogna e senza rendere conto a nessuno, nemmeno a voi stessi.


E per quanto riguarda me... Sono molto scontenta di dove mi trovo.
Non mi basta, e sto ricominciando ad incamerare una certa ingiustificata ammirazione per alcune persone che probabilmente scoprirò avere a loro volta una macchia di caffèlatte sulla manica del maglione.
Mi sa che sto attraversando un altro piccolo momento magico...

Breve guida semplificata ai formati file digitali - Parte 1

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Uno degli appunti più infondati che ho sentito più spesso in questi anni in cui mi sono per lo più occupata di disegno digitale è quello per cui "il disegno a mano avrà sempre il suo originale che possiedi solo tu quando vendi le stampe, il digitale no".
In realtà non è proprio così. Anche il disegno digitale ha il suo originale che per nessun motivo andrebbe ceduto a terzi.
Proprio in questi giorni mi trovo a consegnare dei definitivi per un libro e così ho pensato che qualche accenno semplificato ai formati dei file digitali potrebbe essere utile anche per altre persone.
Nello specifico faccio riferimento ad Adobe Photoshop e ad Illustrator che sono i software che uso abitualmente per lavoro.


Consiglio come prima cosa di tenere a portata di click le pagine Help di Adobe che sono una mano santa e permettono di non farsi prendere dall'ansia nella maggior parte dei casi.
Infatti, se chiedere informazioni tecniche ad altre persone può essere utile, può altrettanto essere fonte di confusione e consigli inesatti. A meno che non vi stiate rivolgendo ad un Photoshop Guru certificato, nel dubbio controllerei in ogni caso le pagine di assistenza.
Se masticate o meglio padroneggiate l'inglese, sappiate che a volte forum e pagine dedicate all'argomento sono più ricche in ambito angolofono. Questo vale per molti campi di grafica ed informatica.







Per quanto riguarda il formato "originale" del nostro file digitale, quando disegnamo in Photoshop è il file .PSD, mentre in Illustrator si tratta del file .AI.
Mi soffermerei un secondo sulla questione originale perché è importante lavorando col disegno digitale.
L'originale è qualcosa che non andrebbe ceduto, mai, in quanto contiene tutte le informazioni di origine del nostro disegno digitale e prova che noi ne siamo i proprietari: non proprio una sottigliezza quindi.
Detto questo, si possono dividere i formati file digitali più famosi in due grandi famiglie: i formati web e quelli per la stampa.





Ken Lo per Antalis Design


Formati web più diffusi:

JPG
PNG
GIF

Formati per la stampa più diffusi:

EPS
PDF
TIFF


File ibridi
(la questione si fa spinosa):
SVG

Idealmente, volendo lavorare cioè in modo professionale, i primi non andrebbero utilizzati per la stampa.
Nel prossimo post esamineremo tutte le specifiche principali di questi formati e vedremo perché gli uni e gli altri sono adatti ad un certo tipo di prodotto.

So che sembrano cose super tecniche e noiose, ma in realtà non sono altro che un modo per esprimere al meglio la resa del nostro lavoro, e ho deciso di affrontare questa piccola guida in modo meno noioso possibile. Da questo punto di vista quindi, diventa un argomento piuttosto affascinante.

A lunedì!

Breve guida semplificata ai formati file digitali - Parte 2

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Eccoci alla seconda parte della nostra guida sempilficata al salvataggio del disegno digitale.

Riprendendo il post precedente, ci sono formati per il web e formati per la stampa. Poi, ci possono essere richieste particolari che saremo tenuti a rispettare e presentano delle configurazioni che potremmo definire intermedie fra il web e la stampa.

FORMATI PER IL WEB
Nascono per i monitor e quindi per rimanere digitali. Anche se è vero che con le più moderne connessioni ADSL e la fibra ottica la visualizzazione di immagini su web è molto più rapida che un tempo lontano quando caricavano per infiniti minuti col giurassico 56k, un'immagine studiata per il web sarà più leggera e verrà semplificata a livello di dati perché venga caricata più velocemente possibile. Oggi JPEG, PNG e GIF caricano praticamente in modo istantaneo.

JPEG (o JPG)
Questo formato è quello compresso più conosciuto. La compressione dell'immagine BITMAP permette un minore peso, ma una perdita di dati che può però essere regolata. Più il file è compresso, maggiore è la perdita dati; viceversa, meno è compresso (e più pesa, di conseguenza) minore è la perdita di dati e più alta la qualità dell'immagine.
Salvando un'immagine in JPG all'interno di Photoshop potremo selezionare il grado di compressione dalla finestra che otterremo dopo aver selezionato "File -- Salva per il web".
Nel menu a tendina "Qualità" si può selezionare da "Bassa" a "Massima" dove la qualità bassa determina una compressione alta ed una resa immagine bassissima e quella massima applica una compressione minima e una qualità che spesso ad occhio nudo non sembra creare differenze col file originale (ma come vedremo, non è comunque consigliabile per la stampa).



La differenza nella qualità immagine con qualità bassa e massima

Qualcuno potrebbe chiedersi perché si dovrebbe salvare a risoluzione bassa (con una qualità mediocre dell'immagine): qualche motivo valido c'è, come per esempio la necessità di creare una preview per una composizione che rimane comprensibile con un peso dell'immagine irrisorio.
Nel caso invece stessimo inviando dei JPG per approvazione ad un cliente, la qualità dovrà essere massima: mandare un paciugo di pixel come nell'immagine in alto a sinistra è inutile ed è una pessima figura! Come vedremo tra poco, anche se un JPEG presenta una compressione minima ed una qualità massima, non è comunque un file per la stampa. Quindi state sereni nell'inviare un file per web di alta qualità (e per carità: niente prove con watermark apposto sull'immagine! Esistono poche cose meno professionali al mondo.)


Il menu in cui selezionare la qualità e la compressione

Importante da ricordare, è un messaggio di errore che a volte allarma i miei allievi: Photoshop dà una finestra per allertare che si sta salvando un file di dimensioni troppo grandi. Le dimensioni si riferiscono al numero di pixel dell'elaborato. Fotografie e disegni sul web infatti non necessitano di essere smisurati; per questo il software ci chiede se stiamo davvero salvando per il web e ci incoraggia a diminuire le dimensioni prima di salvare un disegno che non deve essere stampato. Quando ottenete quella finestra (che non è di errore, bensì di avvertimento) vi conviene ridurre e ripetere l'operazione di salvataggio per il web.

GIF
Al secondo posto nella scala di fama dei file web compressi, troviamo il GIF.
"Le gif animate" sono ormai qualcosa di molto famoso. Non tutti sanno però, che non tutti i file GIF nascono necessariamente per creare blande animazioni in frame.
A volte ci possono semplicemente servire per avere un file leggerissimo, soprattutto se la quantità di colori esigua che possiamo sfruttare non costituisce un problema.
A differenza del JPG, il formato GIF supporta la trasparenza; questo significa che se vogliamo creare elementi vuoti o sfondi "annullati" in un disegno, possiamo farlo senza problemi.
Il GIF non supporta i canali alfa e come accennavo, ci dà la possibilità di usare pochissimi colori rispetto a quelli che abbiamo disponibili anche solo con il JPEG: il numero massimo di colori, sfumature comprese, è di 256. E anche se sembrano molti vi garantisco che non è così.
Salvando in formato GIF all'interno di Photoshop, possiamo selezionare il numero di colori e il grado di compressione della nostra immagine, dal menu "File -- Salva per il web" e controllando i comandi forniti dalla finestra che si aprirà.









Solitamente le immagini salvate in formato GIF sono di piccole dimensioni.
Questo formato non è indicato per le immagini che costituiscono il nostro portfolio sul web, a meno che non stiamo creando una tavola animata GIF per sito o portfolio stesso. Come vedete nell'immagine poco sopra, i colori sono drasticamente ridotti: non scegliete questo formato neppure per spedire partecipazioni a concorsi o per creare preview su blog, sito e social.

PNG
Nato come alternativa al formato GIF, anche il PNG consente la trasparenza di elementi o di sfondi.
Garantisce inoltre una più ampia gamma di colori (supporta immagini 24 bit) e costituisce un formato compresso senza perdita di dati per la visualizzazione su web.
Attenzione però: nonostante negli anni i browser sono stati migliorati per la sua visualizzazione, sappiate che alcuni ancora non visualizzano il PNG e se caricate un'immagine in questo formato non avrete la garanzia che sia visibile da chiunque.
Ad oggi è possibile tenersi informati sugli sviluppi del PNG nei browser in siti come questo.



Intervista agli autori di Ernest Egg

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 Qualche mese fa ho scoperto un progetto che, grazie all'entusiasmo e all'impegno dei suoi autori, mi ha subito stregata. Si tratta di Ernest Egg, un bizzarro esploratore d'altri tempi, che vive in un mondo di creature strane e bislacche quanto lui. Da appassionata di epoca vittoriana/edoardiana e delle esplorazioni in quei periodi storici mi sono sentita subito coinvolta nella crescita di questa storia e ho seguito da vicino ai suoi sviluppi. Il design dei personaggi, i suoi colori e le sue atmosfere sono stati per me qualcosa di semplicemente irresistibile.
L'idea di intervistare Stefano Bosi Fioravanti e Francesco Polizzo si è fatta subito prepotente: ero troppo curiosa di sapere come nasce un'idea di questo tipo e come può essere sviluppata, per starmene nel mio cantuccio senza contattarli.
  

Grazie per questa intervista!
1) Cominciamo col raccontare chi c'è dietro Ernest Egg?

STEFANO:Solitamente dietro ad Ernest Egg c’è Karl Von Karloffeln, aiutante e amico da sempre. E per fortuna oserei dire! Sai che pasticcio se non fosse così? Qualche metro più in là ci sono quei due buoni a nulla di Stefano e Francesco. Loro si limitano a raccontare le storie del nostro eroe preferito. Preferito, giusto?FRANCESCO:Sì, giusto. In effetti noi raccontiamo quello che Ernest ha appuntato sui suoi diari di viaggio, siamo solo dei cantastorie di fatti altrui :DSTEFANO:Mmmmm… forse serve qualche dettaglio in più? Sono Stefano Bosi Fioravanti, illustratore e grafico che porta avanti una vita sregolata e piena di lavori differenti, ho frequentato il Liceo artistico (periodo in cui ho scoperto la mia passione per la scultura) e successivamente ho studiato illustrazione e animazione allo IED di Milano.FRANCESCO: Ok, giusto! Cito direttamente dal mio ufficio stampa!
Appassionato di fumetti sin dalla tenera età, laureato in economia aziendale, dopo aver trovato lavoro come bancario, decide di assecondare la sua passione e frequenta un corso di sceneggiatura tenuto da docenti quali Laura Scarpa, Antonio Serra, Gianfranco Manfredi e Francesco Artibani, affascinato dalle opportunità date dalla rete, comincia a pubblicare web comics utilizzando la piattaforma Verticalismi.it dove nel giro di poco tempo, collabora con diversi artisti e crea la saga di Viole(n)T Hill, destinata a essere la prima serie social del sito.
Ha al suo attivo diverse pubblicazioni per editori nazionali, altre per il mercato anglofono (The Steampunk Originals) e ha collaborato alla stesure di storie per Diabolik, per L'Insonne (il bel personaggio creato da Giuseppe Di Bernardo e Andrea J Polidori) e Robotics.
Quest'anno ha partecipato al graphic novel Racconti Indiani (Passenger Press) e pubblicato su Yang (Shockdom Edizioni) la prima parte della saga intitolata THUG Team.

 
Il protagonista: Ernest Egg in tutto il suo splendore

2) Mi ha colpito la vostra scelta di ispirarvi all'esplorazione com'era un tempo. Che cosa vi ha ispirato?
STEFANO:La voglia di viaggiare ed esplorare, innanzitutto. Penso che l’esplorazione “di oggi” sia molto meno misteriosa e avventurosa rispetto a quella “di ieri”, a causa della rete, di Google Maps e delle prenotazioni online, senza le quali, ovviamente, sarei già morto da tempo. Abbiamo fatto quindi un salto indietro, cercando di evocare quel senso profondo e affascinante delle spedizioni ottocentesche.FRANCESCO:Quanto può essere noiosa la vita piena di cose utili che minimizzano i rischi di qualunque tipo? Meglio vivere alla giornata come fa Ernest, spostandosi da una avventura a un’altra.

3) Su cosa verte il progetto Ernest Egg, vale a dire: che cosa avete in mente oltre al corto, se si può dire?
STEFANO:Inizialmente il corto era un po’ un punto d’arrivo. Volevamo realizzare il libro, il gioco da tavolo e i modelli dei LisciArriccia. Poi avremmo fatto il corto. Invece, fin dall’inizio della campagna si sono arrivati subito fervidi e spontanei interessi tutti indirizzati direttamente verso l’animazione… e quindi, allora, tanto valeva partire in quinta! E quindi ecco arrivati Michael Klubertanzcome compositore, Giobbe Covatta come doppiatore del Capitano A.Bach e Claudio Di Biagio come regista!
Ed ora che stiamo preparando il teaser/ trailer, il progetto si è notevolmente ingigantito. Per il futuro? Abbiamo in mente molte cose che vi stupiranno, basterà avere un po’ di pazienza ;)
FRANCESCO:Diciamo che il progetto stesso ha preso risvolti non immaginabili in precedenza, per questo abbiamo coniato due hashtag specifici #tipicodiernest e #BeingErnestEgg perché certe cose accadono semplicemente mostrando Ernest al mondo!

4) Come è nata l'idea del crowdfunding per finanziare il vostro progetto? Qualcuno vi ha aiutati a sviluppare la campagna per raccogliere i fondi?
STEFANO: L’idea di provare con il crowdfunding è nata in me quando mi sono imbattuto in una conferenza dove si parlava proprio di questo. Dopo un paio d’ore, avevo più domande e dubbi che calzini spaiati, ma qualcosa mi si muoveva in testa. Io e Francesco ne parlammo a lungo e, poco dopo, terminò la trionfale campagna di Lumina. Il resto viene da sé. A parte gli scherzi, penso che sia un modo valido per avere un riscontro diretto dai lettori (senza nulla togliere ad editori e direttori artistici, s’intende).
FRANCESCO:
Conosco da tempo Emanuele Tenderini, uno dei due autori di Lùmina, chiacchierando dei rispettivi progetti lui si è offerto di mostrarlo ai ragazzi del Coffee Tree Studioche si sono dimostrati i partner più indicati per mettere in piedi l’intera operazione, semplificando la nostra vita di creativi da un lato e “schiavizzandoci” dall’altro, in una parola solo imprescindibili.

5) Se doveste definire Ernest Egg in tre parole?
STEFANO:Esagerato, stravagante, divertente. Sicuramente un progetto a cui manca il senso della misura. Come ai suoi autori, del resto.
FRANCESCO: Ironico, Iconico e… bionico, ma solo perché fa rima.

E non dite che non è fantastico: poteva non essere il mio preferito?

6) Il gigante è già il mio personaggio preferito. Ce ne saranno di nuovi nel corso della storia?
STEFANO:Il mondo di Ernest Egg è popolato da una moltitudine incalcolabile di figure matte. Ho curato in maniera maniacale il design dei personaggi, cercando di arricchirli e giustificarne ogni volta gli aspetti caratterizzanti. Il gigante vi sorprenderà, non una ma ben due volte….e non sarà l’unico.
FRANCESCO:Per il gigante abbiamo in testa diverse idee (risata diabolica)


Wow!

7) Dal punto di vista della stop motion, chi vi ispira di più circa il vostro progetto?
STEFANO:Sono cresciuto con il mito di The Nightmare before Christmas. Burton, Aardman, Laika sono le grandi produzioni che mi hanno sempre fatto sognare. Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson poi, una vera perla. Ci sarebbero infine migliaia di cortometraggi e piccole produzioni da citare ma non mi sembra il caso. Comunque cercheremo di stupirvi, abbiamo in mente qualcosa di molto particolare per Ernest.
FRANCESCO:Vista la mia “giovane” età, direi le tonnellate di film e cartoni animati ingurgitati prima che inventassero il web e tutto, ma proprio tutto, quello visto negli anni della mia formazione cinematografica oltre alla mia passione smodata per qualsiasi opere che contenga immagini e parole.

8) Quanto avete messo della vostra personalità nella storia e nei personaggi? In cosa vi riflette?
STEFANO:Tutto. Quello che siamo ma soprattutto quello che vorremmo essere. Parliamoci chiaro, belli come Ernest non lo saremo mai, soprattutto Francesco…
FRANCESCO:Non è bello ciò che è bello, ma sono bello, bello, bello (questa me l’ha suggerita Ernest, giuro!)

9) Cosa consigliereste come prima cosa a chi vuole sviluppare una storia e farla diventare un fumetto o un corto?
STEFANO:Per quello che è stata la mia esperienza lavorativa fino ad ora, posso solo consigliare di insistere, di credere nei propri progetti (non importa quanto grandi sembrino) e di rischiare.
FRANCESCO:Non arrendersi alle prime porte in faccia che si prendono e lavorare seriamente per diventare il più grande stalker di editor in circolazione, infine lavorare su sé stessi fino allo stremo nel tentativo di migliorarsi continuamente.

10) Come possiamo supportare Ernest Egg?
STEFANO: Fino al 16 Gennaio era attiva la campagna crowdfunding su Indiegogo.
Attualmente l’unica cosa che abbiamo potuto fare per venire incontro alle richieste dei molti appassionati e interessati che ci stanno contattando è stata quella di aprire un mini shop online sul nostro sito
www.ernestegg.it, dove è possibile pre-acquistare il libro illustrato del diario di viaggio di Ernest e le cartoline autografate da noi autori e dai partecipanti all’avventura! :D
Stiamo attualmente preparando il tutto, siamo a buon punto, ma in contemporanea abbiamo iniziato anche i preparativi del teaser/pilot per lo stop motion! Tantissimo lavoro, ma anche tantissima soddisfazione!
FRANCESCO:Io aggiungo solo che in tanti ci hanno aiutato dall’inizio della campagna ad oggi. In breve tempo ci siamo trovati in un mondo davvero magico e con la chiara richiesta da parte del pubblico di voler vedere realizzato lo stop motion. Questo ci ha portato a cambiare le carte in tavola e a fare scelte importanti in tempi molto stretti, aiutati dal sogno di Ernest e dal supporto di tante persone sui social.
I social network sono stati un supporto immenso per noi, sotto vari punti di vista, per cui anche condividendo Ernest Egg su
Facebook, Twitter, Instagrame Google+può essere un grande modo per aiutare il nostro amato eroe avventuriero!

L'Arte ai nostri piedi: dall'Oriente i calzini ispirati ai quadri più famosi ed iconici

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Ve l'ho mai detto che, fra le altre cose, sono appassionata di calzini? Ne ho di ogni foggia e colore ed evito tassativamente quelli di spugna o colori neutri.
Ignoravo esistessero quelli d'Arte: su Amazon esistono calzini che si rifanno ai quadri più iconici della Storia dell'Arte. Eccone alcuni.





Se siete in modalità "lo voglio!" come me, li trovate qui.




I miei preferiti sono "La danza" di Matisse e La grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai (più famoso come "L'onda di Hokusai") mentre trovo abbastanza spaventosi la povera Frida Khalo e La ragazza con l'orecchino di perla.





Trovo affascinante che grandi quadri venerati in tutto il mondo, siano stati adattati così bene in una sintesi per il tessile. Forse qualcuno si dirà indignato; io sorrido e penso che se l'Arte può stare ai nostri piedi è perché noi saremo sempre ai suoi, davanti alla sua grandezza. L'Arte è così immensa che non ha paura di trasformarsi, adattarsi e parlare a tutti, di prendere forme diverse e di ridere di sè stessa. Anzi, a rifletterci bene, credo che una cosa davvero grande a livello universale è tale quando ci si può ridere sopra e perfino infilarla nelle nostre scarpe preferite.

Gesture drawing, il disegno in movimento: intervista a Nicola Sammarco

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 E' bravo, simpatico e soprattutto super talentuoso: insomma, non potevamo davvero resistere all'invitarlo per un workshop da Roba da Disegnatori. E manca poco, pochissimo!
Nicola Sammarco ci racconta come è approdato in Disney e Dreamworks, cos'è il gesture drawing, a cosa serve e come può migliorare il tratto di un disegnatore.
Tutto, in questa intervista. Buona lettura!
(tutte le immagini sono tratte dalla pagina Facebook di Nicola Sammarco)




Ciao Nicola, quanto tempo fa hai iniziato a disegnare nell'ambito della concept art e perché secondo te è un po' diverso da altri ambiti del disegno professionale?

La concept art è diversa e più affascinante! Come nell'animazione ma anche nei videogames creare un concept è sempre un piacere, sei libero di esprimerti. L'artista può realizzare davvero ciò che sente sul personaggio o sull'environment (l'ambientazione ndr) con molta meno pressione che purtroppo c'è in altri ambiti lavorativi. Certo, ci sono dei canoni o delle regole anche qui da rispettare, ma è probabilmente il lavoro più aperto e libero che ci sia.







Cosa è stato più difficile per te da imparare?
Probabilmente Photoshop! Si, da autodidatta , quando i tutorial non erano così presenti su internet, è stata davvero dura! Il disegno è qualcosa che si apprende in una vita, non si può stabilire quando ho imparato cosa.

Di cosa ti occupi ora grazie alla concept art?


Attualmente lavoro come layout artist per Disney, e come Concept character artist per un nuovo progetto in Dreamworks. Però proprio ieri ho ricevuto un'email importante da un altro studio, non posso dirvi quale , dove verrò assunto come concept artist, logicamente se andrà bene il test! Cosa che renderò ufficiale presto, se positiva.






In cosa consiste il gesture drawing e perché è diverso nello studio dei soggetti rispetto ad altre discipline legate al disegno?
Il gesture drawingè l'arte di saper sintetizzare, leggere il movimento del corpo. Far emergere le emozioni dei gesti più che la corretta anatomia. Fondamentale per poter apprendere il disegno in tutte le sue forme. Ottimo per l'animazione, fumetto e qualsiasi altro campo! Poco conosciuto qui in Italia, anche se Leonardo Da Vinci ne era già a conoscenza, ma ben radicato negli States. Il gesture era materia di studio alla Disney animation, dove insegnava Walt Stanchfield, il più grande esponente del gesture drawing, ne parleremo al workshop.







Per un disegnatore che ha già studiato prospettiva, anatomia, composizione, in che modo il gesture drawing rende la sua preparazione più completa?

Il gesture aiuta a sciogliere la mano, insegna a leggere le emozioni del corpo, così da poter disegnare personaggi più vivi, più espressivi. La differenza sarà visibile realmente! Un personaggio con più gesture, risulta più accattivante! Come ho già detto, è fondamentale per tutti gli artisti che vorranno migliorare lo staging dei loro personaggi.






Quale consiglio dai a chi sogna di occuparsi di concept art e di lavorare nell'animazione?

Disegnare è l'unico modo per migliorare e di conseguenza per ottenere visibilità e lavoro. Non si ottengono risultati senza lavorare sodo. Non ci sono scorciatoie, c'è solo chi ha volontà di cambiare le cose e chi vuole miracoli. Nel workshop spiegherò come affrontare una fiera come Lucca Comics (per il fumetto) o il CTN (per l'animazione) e su come prepare un portfolio adatto ad ogni esigenza!



Lettera ad una studentessa di illustrazione

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Cara studentessa, io mi ricordo di te.
Ti sei messa timidamente in un angolo della seconda fila, per passare un po' inosservata e poi, in modo diligente, hai cominciato a prendere appunti. Il tuo sguardo curioso e pieno di timoroso entusiasmo mi ha subito colpita. In te esplodeva un tumulto di domande, l'ingordigia di chi vuole imparare tutto e subito.

Poi, dopo un po', hai alzato la mano e hai chiesto durante quella lezione: "Che cosa mi consigliereste per lavorare come illustratrice?". Sei arrossita immediatamente. Avevi chiesto troppo?
Ha risposto un professore, sfregandosi la barba (un professore di quelli veri!) col suo sguardo tagliente e sarcastico. Ti ha detto in modo eccessivamente sanguigno :"E' la cosa più ovvia del mondo. Si lavora come illustratori quando le proprie tavole sono qualcosa di così bello ma così bello, da fare rimanere tutti con la bava alla bocca. Ecco, prima di allora, prima che le tue tavole non abbiano lasciato con la mandibola penzoloni tre quarti della popolazione, non sarai pronta per lavorare."


 
1951




Tu sei rimasta zitta e il colore dalle guance si è smorzato in pochi secondi. Io ti guardavo.

E' stato un attimo: mi sono rivista alle superiori, già coi miei palesi problemi di gestione delle gerarchie. Avevo circa tre anni meno di quelli che tu ora hai. Per me le persone sono tutte uguali: tutte meritano rispetto e non mi è mai interessato se una indossa un abito di sartoria, una dovrebbe essere il mio capo, un'altra ha una divisa... Hanno tutte il mio rispetto ma nessuna più di altre. E finché lo portano a me.
Ero quella che quando i prof. attaccavano con discorsi pomposi e fuori dalla vita reale iniziava a roteare gli occhi o ad assumere un'espressione di sufficienza, prima di poter controllare la propria reazione. E quindi, veniva bollata come "quella polemica". A me non interessava che fossero professori: io li vedevo come persone. E le persone possono dire cose geniali o dire emerite stronzate. Scusa il francesismo, lo sapevo che sarei diventata scurrile; del resto non sopporto proprio la prevaricazione in nome di una posizione fittizia inventata dal genere umano.
Non ho mai sopportato la scarsa capacità di essere concreti e di riconoscere che fuori dalla scuola, e comunque fuori dal proprio ambiente, esistono miliardi di altre realtà. Possibili e perfino probabili o certe.
Solo perché per noi una cosa funziona in un dato modo, non significa funzioni così per tutti.
E non c'è niente di peggio di un professore, una figura di riferimento (che gli piaccia oppure no) che si arroga il diritto di decretare cose di questo tipo, spacciandole per verità sacrosante ed intoccabili.


Cara studentessa, quanto avrei voluto dirti queste cose...
Il fatto è che sono passati 14 anni da quando roteavo gli occhi in aula magna, ma non sono cambiata di una virgola: una risatina sotto ai baffi (o meglio dire, sotto alla maxisciarpa) è fuggita velocissima all'ascolto di quelle parole.
Dai, ma davvero?
Sono la prima che cerca di mettercela tutta quando lavora per qualcuno, che sia la mamma che chiede un biglietto per la partecipazione al battesimo del suo bambino, o la grande casa editrice o agenzia.

Ma per favore: restiamo coi piedi per terra.
Le mie librerie traboccano di volumi illustrati di artisti pluripremiati, che sono pluripremiati perché hanno raggiunto l'eccellenza in questo mestiere e in ambito artistico e perché sono di esempio per chiunque sia appassionato di questa affascinante disciplina.
Questo mi spinge però ad una riflessione che, alla luce di un'opinione così radicale nei confronti di una studentessa come te (che non ha ancora gli strumenti e la solidità per farsi un'idea sua della questione nella sua interezza e che perciò si fida di quello che le viene detto) mi sento di riportare in questo post. Per te e per quelli come te che si fidano e si lasciano travolgere da frasi come quelle.

Per favore, fatti un favore.
Quando ri riferiscono leggi e frasi lapidarie, fai un respirone e cerca di vedere con obbiettività se quelle cose sono vere solo per chi le dice o se possono esserlo per te.


Esistono milioni di persone talentuose e tutte con storie diversissime, situazioni variegate, percorsi unici, esperienze che non sono percorribili per tutto il resto del mondo.
E gli altri? E noi?
E noi procediamo per la nostra strada.
Puntare all'eccellenza è doveroso: altrimenti non si cresce.
Ma ti posso garantire che no, il mondo è pieno di persone (anche persone fantastiche, perché ne conosco direttamente per mia fortuna) che non avranno una Caldecott Medal mai nella loro vita (probabilmente compresa me) eppure sono persone che lavorano con dignità, scrupolo, impegno, passione e soprattutto onestà.
Facendo il loro meglio: inseguendo la propria personalissima eccellenza.
Lavorano anche se non sono pluripremiate e non hanno pubblicato con la casa editrice enorme in Francia o Stati Uniti. E questo non fa di loro professionisti di serie B. Un professionista è un professionista: è tale per il suo bagaglio e per come affronta il suo lavoro con un'etica e un impegno di alto livello. Si alza la mattina, si lava, mangia, disegna, disegna, disegna, disegna, poi consegna, viene pagato, paga le tasse. E il ciclo ricomincia da capo.

Il resto è aria fritta: cara studentessa, mi dispiace non averti potuto rispondere, quel giorno. La mia risposta è: esistono infiniti tipi di lavoro per un illustratore e credimi, quelli che fanno cadere mandibole sono pochissimi e non sono gli unici a far lavorare. Anzi, si dà il caso che noi illustratori che conduciamo una vita normalissima siamo la maggior parte e va benissimo così.
Cara studentessa, io una Caldecott Medal te la auguro, potrebbe darti tanta soddisfazione. Ma non aspettare di vedere cadere mandibole davanti ai tuoi lavori: vai a lavorare. Quello farà di te una professionista, unitamente al tuo impegno e alla tua serietà.
E a tutte le cose che imparerai.
Non permettere mai a nessuno di ridere di te perché non lavori a progetti abbastanza cool: almeno, che abbia la buona creanza di non cercare di fartene vergognare, dicendotelo in faccia.
Impara a non fidarti di quelle persone che hanno bisogno di calpestare ciò che fai per galvanizzarsi. Non tutta la sincerità nasce per trasparenza. A volte è solo una scusa per potere ferire liberamente.
Non hai bisogno della loro approvazione: segui la tua eccellenza.
Ci sono disegnatori che passano i pomeriggi a dipingere limoni ad acquarello; i limoni che poi trovo sulle tovaglie sul tavolo di mia madre. Disegnatori che preparano schemi da ricamo, che poi trovo sulle riviste in edicola. Altri che da ghost, colorano fumetti e non vedranno mai il loro nome sui volumi che hanno curato da coloristi. Altri ancora, che disegnano piccoli progetti per piccole case editrici o piccole agenzie e nonostante faranno le due del mattino per consegnare, non riceveranno nessuna medaglia. Non faranno cadere mandibole. Ma saranno felici perché fanno il lavoro che amano.

Chiariamo una volta per tutte, a nessuno cadrà la mandibola davanti alla tovaglia a limoni di mia madre. Ma se tu ami disegnare quei limoni, se lo fai con professionalità, ti piace e svolgi un lavoro onesto e paghi le tasse... Non hai niente da giustificare a nessuno.
Prepara i pennelli e riempi il mondo di agrumi ad acquarello. Mia madre ne va pazza.

"Tutte le ossessioni di Victor" Intervista agli autori Davide Calì e Squaz

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La cover di "Tutte le ossessioni di Victor" edito da Diabolo Edizioni


"Un personaggio che farebbe la fortuna di qualsiasi psicoanalista!"

Questa è la descrizione più immediata di Victor, il protagonista di "Tutte le ossessioni di Victor", la prima graphic novel scritta da Davide Calì e disegnata da Squaz, che ho avuto il piacere di leggere ultimamente in uscita lo scorso 9 marzo nelle librerie e fumetterie.
Ho intervistato sia autore che disegnatore e, come sempre, è affascinante catturare degli spunti per capire i dietro le quinte di un prodotto editoriale e allo stesso tempo riflettere sul proprio lavoro notando analogie e differenze tra il proprio metodo e quello di altri autori.
Spero possa essere di ispirazione anche a voi: buona lettura!


Davide Calì

Tempo fa avevamo parlato del fatto che ti sarebbe piaciuto pubblicare delle storie anche in un ambito diverso da quello del mercato degli albi per l'infanzia.
Devo dire che sono molto sorpresa non del fatto che tu ci sia riuscito, ma del risultato finale: se non ci fosse stato scritto il tuo nome in copertina non avrei mai creduto che "Tutte le ossessioni di Victor" fosse una storia scritta da te.
Era molto tempo che storia e sceneggiatura erano pronte?

Ho iniziato a scrivere i primi episodi della bizzarra biografia di Victor una quindicina di anni fa. Solo in anni recenti il progetto ha preso poi la sua forma attuale, un po’ più romanzata.


Dai, ti faccio una domanda che probabilmente ti avranno fatto o ti faranno in molti: quanto è autobiografica questa storia? Sei tu Victor?
Ah ah! Sì, suppongo che a molti verrà da chiederlo. Del resto è proprio questo il gioco di Victor: indovinate dove sono! Scherzi a parte, in ogni cosa che scrivo c’è una parte diciamo reale e una di fiction. Credo che faccia parte del lavoro dello scrittore raccontare un po’ sé stesso, mescolando le proprie esperienze a quelle rubacchiate al prossimo e all’invenzione pura.



Molte delle sequenze della graphic novel sono cariche di ironia. Quanto rappresenta per te l'ironia come strumento di espressione? Sei uno di quegli autori che evita di far prendere troppo sul serio sé stesso e i propri personaggi all'interno delle storie che racconta?

Non so dire che genere di autore sono. E’ una riflessione che lascio fare agli altri, primo perché forse non mi interessa farla, secondo perché penso sia giusto così. Non mi piace molto chi si presenta e ti dice cosa devi pensare di lui. So di amare cose molto diverse come lettore e spettatore, per cui quando scrivo, mi piace fare cose anche molto diverse tra di loro. Credo che si possa dire che l’ironia faccia parte del mio lavoro, ma non me ne rendo conto più di tanto. Non riesco ad avere una visione di insieme di quello che faccio. Penso sia più facile farlo con uno sguardo esterno.


Mi ha colpito molto il modo in cui sei riuscito ad incrociare umorismo, lutto ed imbarazzo nella scena del funerale della compagna di classe di Victor. L'ho trovata profondamente umana, così vera da creare un certo imbarazzo in chi legge. Credo che tutti prima o poi ci siamo trovati al funerale di qualcuno e non stavamo pensando alla sua morte; E’ una di quelle cose che nessuno osa dire. Credi che la scelta di inserire un concetto così scomodo sia coraggioso o piuttosto provocatorio?

Non so. Non ho fatto calcoli di questo tipo. Mi sono posto qualche problema a un certo punto, ho pensato di essere andato troppo oltre, che qualcuno potesse sentirsi offeso dal personaggio di Victor. Riccardo, l’editore di Diabolò, mi ha invece detto che non voleva toccare nulla.
Anche lui ha trovato Victor molto umano. Del resto come dici tu, è umano, sei a un funerale per salutare qualcuno che non c’è più e ti cade l’occhio su un bel culo e pensi: “Beh, dai, una cosa positiva nella giornata l’ho vista.”



I capelli nella pizza. I capelli nella pizza! Non ci dormirò mai più la notte essendo super sensibile all'argomento "capelli nel cibo".
"Sono passati dieci anni da quando ci siamo lasciati eppure, ancora oggi, la prima cosa che faccio quando mi arriva la pizza Ë controllare che non ci siano capelli."

Ah ah! Scusa rido, ma ho letto già alcune recensioni che di Victor dicono essere capace di risvegliare ossessioni sopite. Non so se esserne contento! Certe volte sono uscito dal cinema irritato dai personaggi del film e ho pensato: che brutto film! Poi ragionandoci ho capito che invece era un bel film e che i personaggi mi avevano irritato perché molto veri.
Detto questo, occhio alla pizza!


Quando hai pensato alle ossessioni di Victor ti sei preso del tempo per studiare alcune delle ossessioni riscontrabili nella popolazione terrestre? Insomma, quanta ricerca psicologica (anche se magari non a livello scientifico ma puramente di ispirazione) c'è dietro ad una graphic novel sulle ossessioni?

No, diciamo che non mi sono messo a tavolino, come magari ho fatto altre volte, per studiare un tema. Gli episodi sono venuti fuori da soli a un certo punto, semplicemente osservando le persone.


Come mai hai pensato proprio a Squaz per disegnare la tua sceneggiatura?

Avevo letto Pandemonio, un fumetto scritto da Morozzi e mi era piaciuto il modo di lavorare di Squaz. Anziché una sceneggiatura classica Morozzi gli aveva passato semplicemente dei racconti e Squaz ne aveva ricavato un fumetto bellissimo.
Dopo averlo letto mi sono reso subito conto che lui avrebbe potuto fare Victor.

La cover di "Pandemonio" di G. Morozzi e Squaz edito da Fernandel

Hai pensato la storia per un mercato oppure hai scritto prima un libro che avresti voluto leggere tu stesso senza porti il problema della vendibilità e del "poi"?

Quando ho iniziato a scrivere Victor non mi ponevo ancora problemi di mercato. Alla fine ne è venuto fuori un prodotto che in qualche modo si è incanalato da solo in un certo mercato.
Diabolò lo pubblicherà anche in francese e spagnolo e mi ha chiesto a questo proposito alcuni adattamenti. I nomi di persona per esempio saranno tradotti. Questa è l’unica cosa che abbiamo fatto seguendo un certo opportunismo commerciale.


Hai in progetto altri prodotti editoriali di questo tipo?

Sì, parecchi. La scorsa estate ho scritto soprattutto fumetti. In generale sto scrivendo meno album ultimamente. Ho vari progetti sul genere e anche graphic novel più all’americana nel genere Vertigo. Una cosa che vorrei fare è cominciare al più presto un nuovo progetto con Squaz. Quel ragazzo ha le manine d’oro!


Ora che anche il tassello "pubblicazione per adulti"è stato aggiunto ai tuoi successi, mi chiedo se ci sono ancora altri Davide che aspettano di venire fuori. Quale genere di libro è impossibile che tu scriva in futuro e quale invece ti piacerebbe pubblicare, se non è una domanda troppo indiscreta?

Impossibile, non so. Forse qualche cosa di relativo alla Bibbia. Una cosa che poi non mi piace, per esempio, è quando gli autori riscrivono i classici di Esopo e li firmano. Vogli dire, Esopo è stramorto, ma la storia l’ha scritta lui. A meno che tu non ne faccia una parodia non hai il diritto di firmarla, mettendo il suo nome in piccolo come se fosse secondario.
Cose che mi piacerebbe scrivere? Difficile dirlo. Le storie mi vengono così, non è che io cerchi nulla. Tra i tanti progetti che ho da parte c’è una graphic di Batman. Sto aspettando le tavole del disegnatore per proporre il progetto a DC Comics. Poi, mi piacerebbe trovare qualcuno che girasse i miei cortometraggi, ho decine di soggetti da parte. Mi piacerebbe realizzare qualche libro fotografico, e poi ho un progetto di design erotico lì da un po’. Sto sempre cercando un illustratore.
Per quello che riguarda gli album illustrati dopo Le double, che è appena uscito in Svizzera per Notari, mi piacerebbe riuscire a pubblicare un altro paio di storie un po’ sci-fi che ho scritto su quel genere.
Ho anche un progetto di tornare a disegnare, prendermi un po’ di tempo, ma la musica ha la precedenza, perché è la cosa che alla fine, mi piace fare più di tutto. Per cui prima cercherò di registrare il mio primo disco. Ho materiale per almeno un paio, ma bisogna imparare a fare le cose una per volta.


A chi piacere in particolare "Tutte le ossessioni di Victor"?

Spero piaccia a tutti! Ma scherzi a parte ancora non lo sappiamo. Il libro è appena uscito. Per ora mi pare che l’accoglienza sia buona.





Squaz

Ciao Squaz, mi sono piaciuti moltissimo i tuoi disegni per "Tutte le ossessioni di Victor", li trovo davvero molto adatti. Com'è lavorare ad una graphic novel di questo tipo?
E quanto lavoro ha richiesto?

Ciao! Intanto grazie dei complimenti.
In effetti ho lavorato a “Victor” per quasi tre anni a più riprese, interrompendomi spesso e poi ricominciando, il che non è molto nelle mie caratteristiche.
Tendenzialmente sarei più per il “cotto e mangiato” (che si traduce in “fatto e pubblicato”), in questo caso però varie vicissitudini mi hanno indirizzato verso una forma di pazienza zen per cui fare un buon lavoro era più importante che finirlo presto. So che dovrebbe essere sempre così, ma stavolta forse l’ho imparato.
Quanto al lavoro su questo tipo di storia, direi che è quello che mi piace di più fare.
Un testo che sia una per me una traccia e che mi permetta di intervenire sopra e sotto le parole, lasciandomi cioè libero di scorrazzare con le immagini.
Rigore e libertà, insieme a braccetto.




Quando lavori ad una storia di cui non sei autore ti trovi un po' in difficoltà o al contrario sei contento di interpretare il testo pensato e scritto da un'altra persona?

Dipende da chi scrive. Con Davide, come già a suo tempo con Gianluca Morozzi per “Pandemonio”, ho trovato subito delle affinità e quella è la cosa più importante. L’ironia soprattutto mi mette subito a mio agio. E si vede che quando ho accettato di lavorare a questo libro ne avevo particolarmente bisogno, perché il mio lavoro precedente era stato “Le 5 Fasi” con il collettivo DUMMY nel quale invece avevamo affrontato tematiche piuttosto dense e cupe…


Ci sono stati adattamenti e proposte da parte tua durante la fase di storyboard?

Posso dirti la verità? Io lo storyboard non lo faccio e, quando lo faccio, non lo faccio vedere a nessuno: parto direttamente con le pagine e mostro quelle.
Adattamenti ce ne sono stati parecchi sì, ma si può dire che tutto il libro sia un adattamento del testo di Davide. Del resto, io non avevo una vera e propria sceneggiatura su cui lavorare ma il lungo, interminabile monologo di Victor.
Potevo interpretarlo alla lettera o tradirlo come meglio mi pareva, infatti mi pare di aver fatto un po’ l’una e un po’ l’altra cosa.


Hai preparato delle palette colore prima di iniziare a colorare le tavole oppure li hai improvvisati? Cioè, hai un approccio calcolato al colore o piuttosto uno istintivo?

Non c’è stata una grande preparazione preliminare, da parte mia. Ovviamente, una volta che ho capito quale volevo che fosse l’impostazione da dare ai disegni ed ai colori sono andato avanti di conseguenza, ma non sapevo in anticipo cosa sarebbe successo. Nemmeno a livello di storyboard, come dicevo prima. E il fatto che il racconto avesse una struttura ad episodi mi ha aiutato molto. Cioè, sapevo che in un modo o nell’altro, alla fine avrebbe comunque funzionato… per cui tanto valeva divertirsi!


Quali sono i tuoi autori preferiti, sia per quanto concerne la scrittura che il disegno?
Per me, scrittura e disegno sono praticamente sinonimi, comunque sono un fan di Charles Burns, Michael Kupperman, Mike Mignola, Edika, e di un sacco di fumettisti italiani giovani e meno giovani.





Quanto ti sei ritrovato nelle ossessioni di Victor e quanto conta per te un contatto empatico con i personaggi della storia che trovi nella sceneggiatura?

Durante la lavorazione, credo di aver detto a Davide che il suo personaggio era molto alla Woody Allen, che a me è sempre piaciuto. Per cui di sicuro ci ho ritrovato delle sensazioni e un immaginario che mi è familiare e che mi apparteneva già. Non ho mai provato a lavorare su storie o personaggi così distanti dai miei gusti e dalle mie coordinate, ma immagino che sia come per gli attori quando per calarsi nei panni di qualcun altro cercano ogni minimo appiglio per dargli vita e credibilità.


A quale tipo di storia non lavoreresti mai?

Probabilmente, a quella che fosse apertamente in contrasto con le mie idee e le mie convinzioni personali. Ma per fortuna non me ne hanno mai proposte di storie così, almeno finora.


A quale tipo di storia lavoreresti accettando su due piedi?

Mah, una volta ho assistito ad un incontro con Moebius, il quale alla domanda “perché fai fumetti?” rispose “per sentirmi utile”. Mi è sempre piaciuta come motivazione, per cui accetterei subito di lavorare ad una storia che non mi faccia sentire un imbrattacartacce che fa abbattere l’Amazzonia per niente.
E poi per soldi, ovviamente. Tanti soldi.


A chi piacerà "Tutte le ossessioni di Victor"?

Mi piacerebbe scoprirlo!


Cosa consiglieresti ad un disegnatore che vorrebbe occuparsi di fumetti o graphic novel nello specifico?

Non so davvero se prendermi una responsabilità di questo genere. Forse di leggere molta narrativa e poi, chiudere gli occhi, e ragionare per immagini.
E viceversa.




Intervista a Damiano Bellino, illustratore e insegnante

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Io e Damiano Bellino, illustratore e insegnante di illustrazione, ci siamo conosciuti in occasione della Bologna Children Book Fair qualche giorno fa.
Dal momento che Damiano ha aperto una scuola di illustrazione ho voluto curiosare sul perché e sul come di un doppio mestiere molto affascinante. Buona lettura!



Ciao Damiano, mi racconti da quanto tempo ti occupi di illustrazione e a
cosa hai lavorato?


Ho iniziato nel 1998, terminato il Liceo Artistico e ricordo ancora bene la prima volta che
misi piede alla Fiera del Libro di Bologna: avevo uno zaino enorme sulle spalle e tenevo
stretta sotto il braccio una tela ad acrilico, “professionalmente” avvolta in un foglio di
giornale! Fortunatamente, in quella Fiera incontrai un illustratore che segnò la mia
formazione e che ricordo ancora con molto affetto, Arcadio Lobato, a cui devo molte delle
cose che ho imparato sia nel campo dell'illustrazione che dell'insegnamento.
Capii col tempo che, se volevo fare bene questo mestiere, avrei dovuto imparare molte
cose: disegnare bene era soltanto una di queste.

Ebbi lʼoccasione di capire molti aspetti della professione lavorando.
Il primo progetto serio mi fu commissionato dal Consiglio Regionale del Veneto, la cui
richiesta era quella di realizzare un libro illustrato destinato alle scuole. Ne uscì un
cofanetto contenente tre volumi illustrati di cui curai tutto: testi, illustrazioni e grafica e che
venne poi pubblicato da Kite Edizioni. Grazie a quel progetto ebbi l'occasione di conoscere
molti aspetti tecnici del mestiere: come eseguire la stesura del testo, come eseguire le
illustrazioni tenendo conto della tempistica da rispettare, come impaginare graficamente
un libro, cosʼè un briefing con lʼequipe di lavoro, nonché che cosa significa visionare
lʼavviamento della stampa in una tipografia.
Fu grazie a quel progetto che seguirono le collaborazioni con Lapis, Coccole Books e
alcune riviste, per terminare con la pubblicazione di un mio racconto dall'altra parte del
mondo, a Taiwan, grazie a Grimm Press Publishing.


Quando hai deciso che l'illustrazione sarebbe stata la tua strada?


Beh, disegnare e dipingere erano già una passione quandʼero piccolo, poi i problemi
arrivano quando cresci e devi fare delle scelte.
Dopo il Liceo Artistico, si faceva più concreto il desiderio di diventare un illustratore
professionista, ma la strada da percorrere era totalmente avvolta nella nebbia.
La vera decisione, molto più cosciente, avvenne poco dopo la laurea, quando mi ritrovai di
fronte ad una scelta difficile: se tenermi stretto un contratto a tempo indeterminato come
educatore oppure intraprendere la strada ben più incerta e precaria verso il mestiere di
illustratore.
Lʼho vissuta come un vero e proprio salto nel buio, anche perché allʼepoca avevo da poco
trovato una casa in affitto e dovevo pagare le bollette.
Non fu certamente una cosa semplice, ma di certo fu molto formativa.






Com'è nata l'idea di aprire una scuola?


Credo che questa idea possa essere nata quando, da bambino, ascoltavo i discorsi che
mio padre e mio zio facevano sugli artisti, su Leonardo da Vinci e sulle botteghe del
Rinascimento.
Gli stessi argomenti che più tardi sentii raccontare da Arcadio Lobato e che ebbi poi modo
di approfondire alla facoltà di Scienze della Formazione (facoltà universitaria in cui, ci
tengo a precisare, capitai dopo aver frequentato una settimana ad Ingegneria
Informatica…)
Allʼuniversità, quindi, ho avuto lʼopportunità di studiare materie che si sono rivelate
preziose per il mio lavoro, sia di autore che di insegnante: pedagogia, psicologia
dellʼapprendimento, didattica, storia della scuola, percezione visiva, letteratura infantile…
Tutto questo mi ha permesso di costruire unʼidea di scuola dedicata alla formazione di un
illustratore. Gli studi teorici e lʼesperienza pratica di corsi rivolti a varie fasce dʼetà, dai
bambini agli anziani, mi hanno permesso di definire un metodo di insegnamento
soggettivo, che tenga conto dellʼallievo stesso. Eʼ una didattica che parte dal presupposto
che ogni allievo è diverso e che è quindi fondamentale valutare inizialmente quali sono le
abilità da rinforzare e quali le lacune da colmare: lʼunico modo affinché un potenziale
illustratore possa far maturare un proprio stile personale.
Il primo sintomo evidente di
questo tipo di didattica è che ogni allievo sviluppa un proprio modo di disegnare e di
illustrare e si limita di molto lʼimprinting troppo marcato da parte del maestro, quando cioè
gli allievi adottano uno stile che è la copia quasi fedele del loro insegnante. Questo è un
aspetto che spesso si rivela nocivo.




Quale tipo di corsi preferisci portare nel programma della tua offerta
formativa?


I corsi che a mio avviso sono indispensabili per la formazione di un professionista delle arti
visive, sono i corsi di disegno dal vero. Per questo motivo dedico molto spazio
allʼinsegnamento dello studio della realtà allʼinterno dei miei corsi di illustrazione.
Daqualche mese sono partite anche le sessioni di disegno dal vero con la modella e adesso,
con l'arrivo della bella stagione, ci prepariamo per le lezioni “en plein air” dove si disegna e
dipinge ad acquerello nel verde dei parchi o tra i palazzi storici di qualche città.


Cosa ritieni più bello nel mestiere di illustratore?

Beh, credo che la cosa più bella sia immaginare.
Questo mestiere mi da la possibilità di fantasticare sulle cose che mi stanno intorno.
Il fatto di inventare storie e personaggi sia con la scrittura che con i disegni, mi permette di
puntare lo sguardo su quegli aspetti della vita reale per me più curiosi e interessanti.
Guardare la vita poi, sotto la lente dellʼironia e della poesia, è la cosa che mi piace fare di
più.





E cosa vedi più difficile nell'illustrare per lavoro?

Le cose difficili, come in tutte le cose della vita, sono varie.
Una delle cose più difficili per me, è stato (e a volte lo è ancora…) conciliare la poesia con
la fretta
. Due elementi completamente opposti.
Per avere uno sguardo poetico o ironico sul mondo serve lentezza: la velocità a cui ci
chiedono di andare non è una velocità che può permetterci di meditare o ragionare
efficacemente sulle cose.
Lʼesperienza mi ha portato a capire come essere veloce nellʼesecuzione delle illustrazioni
e dei testi, senza rovinare quellʼaspetto meditativo che fa parte del mestiere di chi gioca
con le emozioni. Non è stato facile, e non credo di potermi definire ancora un esperto.
Il mercato ha fretta di offrire al pubblico delle emozioni: è un rompicapo con cui fare i conti.
E credo che ognuno trovi una sua strategia, in base a ciò che è e a ciò che sa fare.



Ci vediamo a Padova alla Scuola di Illustrazione di Damiano Bellino per parlare di committenza, di termini specifici legati al mestiere, di come funziona una commissione, di come si affrontano modifiche e proposte da parte di un cliente e delle situazioni che si possono vivere da illustratore professionista.
Dietro le quinte di una commissione editoriale o pubblicitaria.
Dal portfolio alla gestione della committenza, passando per il proprio stile e la propria crescita stilistica.
Simulazione di un brief da parte di un committente, modifiche comprese.


Con Damiano abbiamo pensato ad un breve incontro e workshop di un giorno a Noventa Padovana il prossimo 19 aprile.
Parleremo di commissione, storyboard e gestione del cliente.
Se siete curiosi, contattatelo a: damianobellinoscuola@gmail.com


Non un addio, ma nuove direzioni: le mie dimissioni dall'associazione culturale RDD

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Per me è difficile scrivere questo post.
Ci sono tante cose che si affollano nella mia testa.
Servono solo a chiarire il più possibile la situazione a chi mi legge, a chi c'è, a chi partecipa, a chi frequenta, da cinque anni a questa parte il mio blog.
Quello che mi appresto a dire quindi, non riguarda solo chi ha una tessera di Roba da Disegnatori ma tutti voi che costituite la pagina e il blog con la vostra partecipazione.



Molte avventure iniziano e molte finiscono. E' la vita, uno ci prova, si butta e non sa cosa succederà: spera per il meglio, incrocia le dita e inizia.
In questo modo come la migliore delle avventure è cominciata l'associazione culturale che ora porta il nome di Roba da Disegnatori, il 27 gennaio 2014.
Dallo scorso 2 aprile 2015 decorrono le mie dimissioni come segretario e tesoriere e quindi come membro del direttivo. I miei soci al direttivo hanno ricevuto la mia raccomandata circa una settimana prima.
Chi mi conosce sa che non sono un'impulsiva. Prendo le mie decisioni lentamente, ponderando, valutando. E per questo poi non torno indietro quasi mai sulle mie scelte.
Dietro il termine "dimissioni irrevocabili" su quella raccomandata, un'espressione in "legalese" che poco mi rispecchia c'è appunto questo, una decisione maturata lentamente e in modo inesorabile. Mi fa male, ma a volte le cose più giuste da fare sono quelle che fanno soffrire, per poi potere stare meglio.
Sono serena perché sento di avere fatto la cosa più giusta per me stessa e per i miei collaboratori.

Collaboratori che hanno fatto un ottimo lavoro durante questo anno di scambio, di condivisione, di iniziativa, di energie, di idee ed iniziative e che hanno tutta la mia gratitudine per la loro precisione, per la loro passione e la voglia di fare.
Non tornerei indietro: ogni cosa che succede è una lezione preziosa.
Ciascuno di noi ha un metodo di lavoro e una propria personalità ed è sacrosanto che sia così: a volte sono sinergici, altre volte no.
Altre volte qualcuno deve fare marcia indietro e io l'ho fatto per permettere all'associazione di perseguire i suoi progetti, a cui non mi trovo più a mio agio a lavorare.





Sono profondamente in pace con me stessa e nel dare le mie dimissioni non nutro rancori o risentimenti verso nessuno, vorrei tranquillizzare anche chi ha ricevuto l'email di Alessandra e di Edoardo (non mia) negli scorsi giorni circa questo importantissimo aspetto perché alcuni di voi mi hanno contattata un po' allarmati. Vi ringrazio di cuore, va tutto bene, sto bene, è un momento di transizione, di tempesta, ma è una tempesta necessaria perché vadano a delinearsi nuovi sentieri e nuovi cartelli direzionali. Per me che vado e per chi resta, ognuno per la sua personalissima nuova avventura.





Fatta chiarezza su questo, ci sono delle cose molto importanti a livello pratico, da sapere da qui in poi:
  • Roba da Disegnatori continua ad esistere così come lo conoscete e sarò io ad occuparmene seppure con preziosi aiuti esterni com'è sempre stato. Ci sono grossi cambiamenti a cui sto lavorando per il blog, per la pagina e per i loro contenuti. E' tanto che sono in fermento e ora sto dando una forma a tutto questo, anche se lentamente com'è naturale che sia. Ci vorrà un po', soprattutto dopo questa scossa di assestamento necessaria nella mia vita professionale e personale.
  • Desidero rendere noto che, unicamente come tutela legale per un lavoro che amo e a cui tengo molto, ho depositato come marchio registrato Roba da Disegnatori e il suo logo presso l'Ufficio Brevetti tramite un intellectual property.
    Questo non significa che RDD è diventato qualcosa di commerciale: volevo semplicemente evitare che qualcuno in un futuro anteriore lo potesse fare e magari al posto mio e senza il mio consenso, snaturando quello che costituisce. Sono sicura che in questo momento non esisteva il rischio, ma sono un tipo prudente.
    Concretamente, non cambia nulla per chi segue i post. Ecco già che ci sono, ci tengo a precisare che non sono previsti post pubblicitari o collaborazioni commerciali in questa direzione. Come dicevo, il deposito del marchio è stata solo una precauzione, e non so in cosa si tradurrà in futuro (il primo deposito del marchio dura dieci anni: chi può sapere dove sarò in un senso o nell'altro?).
    Volevo però che si sapesse per trasparenza e per chiarire un punto davvero cruciale di questo comunicato, che segue.
  • L'associazione culturale infatti continua ad esistere senza la mia partecipazione, con lo splendido lavoro di Edoardo Velli, di Alessandra Fusi e del futuro segretario che stanno per eleggere e che prenderà il mio posto. Con le sue attività, i corsi e le iniziative.
    Per quanto detto al punto due però, e per non creare grande confusione (chi c'è e chi non c'è nell'associazione), cambierà denominazione.
    Perciò, a decorrere dal 1 Luglio 2015, blog/sito/pagina saranno del tutto divisi in attività dall'associazione, che porterà un altro nome. A proposito, Edoardo e Alessandra hanno indetto un piccolo concorso per trovare tutti assieme un nuovo nome per le loro attività. Vi va di partecipare?

  • Le fasi di transizione non sono mai qualcosa di semplice, qualunque cosa investano.
    Per questo, fino al 30 giugno 2015 i corsi organizzati da Alessandra Fusi porteranno il nome e il logo di Roba da Disegnatori anche se al direttivo non sarò presente. E' una concessione che mi sono sentita di fare in nome di una collaborazione vincente durata più di un anno. Mi sembrava il minimo.
  • La casella info@robadadisegnatori.it sarà tenuta dal nuovo segretario ed organizzatore che lavorerà con Alessandra ed Edoardo alle iniziative. Quindi non sarò più io (Morena Forza) a rispondere, sebbene ne avrò la supervisione perchè casella di un marchio di cui sono responsabile. Lo stesso vale per il sito e il dominio. So che sono tecnicismi, che potrebbero sembrare noiosi ma voglio che tutto sia trasparente e corretto verso chi mi segue e ci segue.

  • Infine, anche se credo di aver spiegato in modo abbastanza approfondito ciò che ha fatto maturare la mia scelta di continuare per un'avventura che fosse solo mia, ci tengo a dire che le dimissioni costituiscono un'azione (a livello pratico e anche giuridico) assolutamente personale.Questo significa che comunicazioni o risposte in merito sono di mia esclusiva competenza: non ho delegato nessuno a rispondere per me. Io resto a completa disposizione di soci e lettori per chiarimenti o dubbi inerenti questa mia decisione che come ribadisco si è sviluppata nella più completa serenità.
Del resto non ho nessun dubbio che sia io che l'associazione faremo cose meravigliose anche se d'ora in poi separate nell'interesse di tutti.

Grazie di cuore al direttivo, ai soci, ai corsisti, del sostegno e dell'affetto che ho sempre percepito in questi anni e in questi mesi.
Grazie perché siete non gli spettatori ma i protagonisti di questa avventura!


Morena Forza
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